Riflettendo sulla nautica



Da decenni si sente parlare di “piccola nautica” come l’oggetto di una missione, si parla di azioni da mettere in campo per agevolarla, renderla più popolare e affidarle il compito di rilanciare il settore dopo il lungo periodo di crisi.

Non ci sono “ma”, questo lo dico a vantaggio di chi se ne aspetta qualcuno dopo un’apertura così, sebbene indubbiamente questo sia il momento di avviare una riflessione approfondita in merito.

Non ho certo la presunzione di avere la risposta in tasca, mi limito a osservare e provare a ipotizzare uno scenario futuro basandomi sulla frequentazione di porti turistici, diportisti, gente che non ha mai avuto una barca ma è solleticata dall’idea.

Chi ha vissuto gli anni ’70 in età per andare in barca, ricorderà che a un certo punto ci fu un importante sviluppo di diffusione della nautica, in Italia. Complici tante situazioni sociali ben diverse dalle attuali ovviamente, ma anche la voglia di una generazione di vivere il proprio tempo libero esplorando quella che in una nazione come la nostra, dovrebbe essere un’attività predominante. Allora le barche erano tutte più piccole, il gigantismo si riferiva a yacht di 35 metri, mentre le barche più grandi si aggiravano sui 15 e ci sembravano già delle navi. Sto forse suggerendo una “decrescita felice”? Lungi da me, sto solo prendendo atto che nei decenni a seguire la nautica è cresciuta soprattutto dimensionalmente, fino agli anni 2000 nei quali in molti hanno avuto accesso a barche forse, e dico forse, fuori dalla loro reale portata. Ma fuori da questo discorso, voglio arrivare alla crisi che dal 2008 affligge tutti e il settore nautico in modo particolare. Il suo primo prodotto è stato quello di continuare a vivere sulla scia del mercato precedente, portando naturalmente molti a concentrarsi sulle grandi barche, le quali sono in grado di sostenere in modo ben diverso dalle piccole, un bilancio aziendale. Questo è giusto, comprensibile e fondamentale per assicurare la sopravvivenza di aziende del settore, che siano cantieri, porti, agenzie e le tante professionalità coinvolte. Ciò che è sfuggito di mano forse, è il vuoto generazionale che si è venuto a creare con la perdita di interesse, per ragioni socio-economiche, di molti diportisti del passato. Questa situazione non ha permesso il passaggio generazionale della passione, del solo essere consapevoli di quanto sia piacevole vivere una giornata in mare, una crociera, qualche ora.

Qual è la cura? La solita, quella che da almeno un paio di decenni da quando ho cominciato a svolgere la professione di giornalista nautico registro soprattutto in una parte degli operatori, quelli che hanno sempre vissuto di piccola nautica. Avviare i giovani al diporto significa agevolare il contatto con le scuole vela sul territorio per esempio, attività che si può svolgere tutto l’anno come facevamo noi bambini degli anni ’70, in mare e sui laghi. Agevolare la creazione di scuole nautiche anche con barche d’altura che possano operare per una stagione lunga, il nostro clima lo permette e oltre ciò, il valore formativo per i più giovani impegnati in tali attività rappresenta molto più che il semplice avvicinamento alla nautica. Semplificare e agevolare la creazione dei famosi “porti a secco”, che permetterebbe ai  diportisti di poter utilizzare la loro barca ogni volta che vogliono a costi ragionevoli ed essendo certi che questa sia custodita e manutenuta nei periodi di fermo. Ma queste sono alcune delle cose che forse sarebbe il caso di provare a mettere in campo, la vera differenza la farebbe poi un approccio più popolare e meno elitario alla nautica, come risultato di una diffusione maggiore e conseguente stimolazione del mercato a un atteggiamento diverso dall’attuale. Questo porterebbe alla creazione di più scuole nautiche, dunque una ricaduta occupazionale generata tanto dagli addetti diretti quanto da quelli indiretti che si occupano di gestione delle barche, manutenzioni, vendita di accessori. Ma porterebbe nel tempo anche alla volontà di autonomia in mare dei giovani e meno giovani allievi, fino all’acquisto del loro primo natante a vela o a motore. Soprattutto, stimolerebbe parte della popolazione a vivere il mare e le acque interne in maniera diversa da quella contemplativa, ma come protagonisti della loro stessa esperienza.

Fin qui ho solo ripetuto quanto è stato detto più volte da tutti i coinvolti dell’industria, ossia, il bisogno di ripartire dalle basi dell’approccio con le attività diportistiche. Tutto questo sembra banale e scontato ma in 20 anni da spettatore non ho visto grandi passi avanti in queste direzioni. Iniziative private ci sono, ci sono sempre state e ce ne saranno sempre, ma hanno bisogno di essere agevolate nello svolgimento delle loro attività in mare e a terra. La vela, soprattutto quando la si affronta da bambini, è sicuramente una gran scuola di vita e spinge a ripetere l’esperienza perchè piacevole, portatrice di fiducia in se stessi, di crescita esperienzale, collaborazione con il prodiere o il timoniere o gli altri membri dell’equipaggio e molto altro di grande valore formativo. Ciò che interessa qui, dove non sto parlando nè di psicologia nè tantomeno di fenomeni sociologici, è il risultato della fidelizzazione verso l’attività in mare, capace di regalare sempre, anche a distanza di oltre 40 anni (ne ho le prove!), emozioni nuove. Questo significa produrre un mercato oggi fortemente limitato da costi eccessivi di acquisto e gestione delle barche, scarse opportunità di avvicinamento per i neofiti. Qualcuno potrebbe obiettare che alla base c’è solo e soltanto l’economia, io rispondo che in questa fase storica l’economia generale ha sicuramente un peso fondamentale e non potrebbe essere altrimenti, ma è anche vero che già prima della crisi la richiesta di attenzione da parte di tutti i coinvolti nella produzione e diffusione di articoli destinati alla piccola nautica era forte. Oggi la variabile da considerare è soprattutto il bisogno di portare in mare chi domani, in condizioni economiche più favorevoli, sarà il cliente dei cantieri oggi in maggiore difficoltà. Ricreare quel circolo virtuoso di crescita dimensionale delle barche sul mercato perchè è ripartito l’interesse, la voglia di andare per mare. Ma tutto questo oggi, nell’attuale economia generale, si deve fare agevolando l’interesse per il mare presso il pubblico più giovane, a mio modesto avviso.

Senza voler fare riferimenti personali che non sono mai simpatici, tra i tanti neo diportisti che approcciano a una scuola vela o di mare per la prima volta in età evolutiva, ci saranno anche tanti professionisti del mare di domani, non solo armatori. Questo agevola anche la crescita qualitativa delle professioni legate alla produzione e gestione del parco nautico del futuro. Il mare è una risorsa preziosa per l’occupazione italiana, questo da solo dovrebbe essere un motivo di grande attenzione da parte delle istituzioni. Se vediamo i numeri pre-crisi legati alle professioni collegate con le attività di produzione e gestione nel corso della vita di una barca, ci accorgiamo che l’Italia ha, in tale ambito, un potenziale occupazionale molto importante.

Piccole barche è naturalmente un concetto molto relativo, proprio questa mattina ho parlato con un armatore che chiedeva una piccola barca da usare come tender, quando ho scoperto che intendeva almeno un 12-14 metri open ho capito che il nostro concetto di piccola barca differisce un pochino.

Per piccole barche dalle quali ritengo sia necessario ripartire intendo le derive a vela, i gommoni, i piccoli open fuoribordo, questa è la nautica che a mio modesto avviso può avviare un processo di recupero di generazioni che, altrimenti, si dedicano ad altro o preferiscono vacanze esotiche a quelle sulle nostre coste.

Tutto questo per dire che una nazione come la nostra, tanto per la sua orografia quanto per le sue tradizioni, dovrebbe prestare all’industria nautica e al suo sviluppo un’attenzione totale e che proprio agevolando la stimolazione del mercato interno questa oltre a produrre PIL, anzi, visto il momento forse prima di questo, produce occupazione.

Insisto nel ricordare il valore formativo per i più giovani offerto dall’esperienza della condivisione della navigazione e della sua gestione. La nautica è una risorsa preziosa per tutti, da chi la vive per diletto a chi decide di farne una professione.

 

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